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Tribunale di Verona sospensione della installazione di un impianto radio base per la telefonia mobile

 

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TRIBUNALE DI VERONA

Ord. 4 dicembre 2000, n. 1224.

 

XXXXX XXXX, proprietario di una unità immobiliare ubicata nel condominio XXXXX, in Verona, XXXXX XXXXX n. X, ricorre ai sensi degli artt. 1171, 1172 e 700 c.p.c. nei confronti del condominio predetto (in persona dell`attuale amministratore), del condomino XXXXX, di XXXXX e dell`impresa edile XXXXX, al fine di ottenere, in via cautelare, la sospensione della installazione di un impianto radio base per la telefonia mobile e di un impianto centralizzato per la ricezione radio televisiva, per la cui realizzazione sarebbero interessati il tetto e il vano sottotetto dell`edificio, a poche decine di metri di distanza dal suo appartamento.

Il ricorrente espone che XXXXX, per conto del gestore XXXXX, starebbe operando su parti comuni dell`edificio senza aver ottenuto il previo consenso dell`assemblea dei condomini (e comunque con l`aperto dissenso dell`istante), sulla scorta di un mero contratto di locazione stipulato con il predetto XXXXX (risulta infatti locato “. . . l`immobile composto da superficie destinata a porzione di tetto per l`installazione di antenne, ivi compreso l`accesso alla porzione locata, al passaggio dei cavi necessari. . . e porzione di mq. 12 circa del locale sottotetto per il posizionamento di armadi BTS. . .”).

Il ricorrente, a conforto delle istanze cautelare e nunciatoria, invoca all`un tempo il diritto alla conservazione delle parti comuni dell`immobile (a suo dire pregiudicate nel decoro architettonico e nella stabilità) e alla tutela della salute, lesa (ovvero minacciata, quanto al versante attinente al pericolo derivante dalla prolungata esposizione alle alte frequenze) dall`iniziativa dei resistenti.

 I resistenti, costituiti ritualmente, contestano con ampie difese la fondatezza delle richieste anticipatorie del ricorrente e ne chiedono il rigetto.

MOTIVI DELLA DECISIONE.  Va esclusa, prima facie, la lamentata lesione del decoro architettonico, alla luce delle caratteristiche fisiche dell`impianto d`antenna. Essa, invero, risulta formata da un esiguo sostegno tubolare sul quale saranno allocati tre piccoli pannelli (v. foto in atti), ed è quindi tale da farla apparire visivamente assai meno intrusiva del consueto coacervo di comuni antenne televisive, già ivi presenti.

Va parimenti ritenuta non provata, quanto meno allo stato, l`esistenza di pericoli di danni alle cose o alle persone derivante dall`eventuale distacco o crollo dell`impianto (sul punto nulla ha dedotto o provato il ricorrente).

Vengono quindi all`esame i due restanti profili di diritto.

Il primo attiene alla denunziata nuova opera asseritamente lesiva del diritto di proprietà del ricorrente.

A questo riguardo giova precisare come l`opera contestata si componga sostanzialmente di due elementi strutturali:

1) l`apparato di radiotrasmissione, che  per evidenti quanto elementari ragioni di sicurezza e di custodia  verrà collocato in un locale di proprietà esclusiva di XXXXX;

2) un palo, con i soprastanti apparati trasmittenti/riceventi, ancorato alla struttura dell`edificio in prossimità della gronda nord-est del torrino dell`edificio (ciò è a dire su una falda del tetto).

Dunque, per quanto è dato comprendere dai progetti in atti, l`opera “nuova” investirà solo il tetto (parte comune necessaria ex art. 1117 c.c.) limitatamente all`erezione del palo di sostegno avente le caratteristiche estetiche e di ingombro sopra ricordate.

Ebbene, fatte queste dovute precisazioni, si osserva che è pur vero che è mancata una delibera volta ad autorizzare il condomino XXXXX a fruire del tetto con le modalità ricordate ma si osserva altresì che, ad un meditato esame, non vi era alcuna necessità di interpellare sul punto l`assemblea.

Va opportunamente premesso che ai fini della disamina della liceità dell`opera di cui si discute non giova il richiamo alla nota disciplina di cui all`art. 232, comma II, D.P.R. n. 156/73, che riconosce ad ogni occupante (proprietario o inquilino che sia) il diritto di “appoggiare” antenne televisive sui muri e sulle coperture dei fabbricati, anche condominiali. La norma cennata mira difatti a tutelare il diverso diritto soggettivo, perfetto e assoluto, di natura personale di ciascun soggetto presente nell`edificio di potersi informare e di poter proiettare  se del caso con idonei apparati  nell`etere il proprio pensiero, come è fatto chiaro dalla dichiarata finalità di “. . . soddisfare le richieste di utenza. . .” dei predetti.

Diverso discorso vale, invece, per l`installazione di cui si discute, palesemente estranea al soddisfacimento dei diritti costituzionali in tema di manifestazione del pensiero del sig. XXXXX. . . salvo che non si voglia assumere che egli sia mosso da un interesse filantropico a che i cittadini veronesi possano comunicare tra loro con il “telefonino”. . .

Non vale poi ad ampliare in via evolutiva la portata reale del citato art. 232 la disciplina di cui agli artt. 4, comma II, L. 31 luglio 1997 n. 249 e 6 D.P.R. 19 settembre 1997 n. 318, richiamate dalla attenta difesa della XXXXX, in quanto essa opera un rinvio a diversa disciplina e precisamente al D.P.R. 1973 n. 156 in tema limitazioni legali della proprietà e del diritto di servitù.

Per verificare la liceità dell`opera occorre quindi percorrere altra e più concreta via, fondata sulla disamina della sua natura.

L`opera intrapresa, per le modestissime caratteristiche costruttive che la connotano (oltretutto coerenti con le funzioni di mero sostegno di apparati di antenna, di copertura dei vani sottostanti e di passaggio dei cablaggi assegnate rispettivamente al tetto e alle facciate), è tale difatti da escludere sia il possibile mutamento di destinazione della cosa comune, sia, per lo meno allo stato, altre incidenze negative di carattere obiettivo sul decoro, sulla struttura (nel progetto si parla di un apparato di 31 kg.) e sull`”uso paritetico” di quelle parti di edificio (sul cui concetto, modernamente inteso, bene si sofferma Cass. 5 dicembre 1997 n. 12344).

In definitiva, secondo questo tribunale, ci si trova in presenza di una banale modificazione (cfr., in senso generale, Cass. 29 agosto 1998 n. 8622 e 6 giugno 1989 n. 2746) volta a consentire a ciascun singolo condomino (ma anche, come nel caso di specie, allo stesso conduttore, persino al di fuori di espressa concessione in tal senso del locatore: cfr., sul principio, Cass. 22 settembre 1962 n. 2771) il maggiore e più razionale godimento della cosa comune (art. 1102 c.c.), purché a sue spese e nel rispetto dei limiti di cui all`art. 1120 c.c.

Ne discende che la mera modifica impressa ad una parte comune non necessita, per la sua attuazione e per consolidata giurisprudenza, del previo scrutinio favorevole dell`assemblea.

Non pare poi dirimente, allo stato, l`argomento difensivo  sempre sotteso all`istanza nunciatoria a sfondo petitorio  per la quale l`installazione della stazione base con i relativi cablaggi provocherebbero, per un verso, una diminuizione di valore dell`edificio e, per altro, la costituzione illegittima di una servitù a carico delle parti comuni.

Quanto al primo aspetto, sul quale se del caso si ritornerà in modo più approfondito, si osserva trattarsi di affermazione a tutt`oggi assolutamente generica e priva di concretezza probatoria (manca in altre parole la prova del presupposto stesso dell`azione, vale a dire l`esistenza di un serio danno fisico/patrimoniale “alla cosa” tutelata).

Quanto al secondo, giova rilevare come sia arduo configurare in quello specifico passaggio di cavi una servitù (di elettrodotto?): difetta invero l`essenza stessa del diritto reale in esame, ciò è a dire l`asservimento di parti comuni dell`edificio al servizio di altra parte di proprietà esclusiva. A ben vedere, difatti, i cablaggi non sono affatti destinati a migliorare l`utilità o il godimento dell`immobile di XXXXX (come sarebbe per il caso tipico di condutture idriche, elettriche, del gas, etc.) bensì ad alimentare una stazione base posta al servizio del bilancio di utenza telefonica compreso nella c.d. “cella”. Stando così le cose, ci si trova ancora una volta innanzi al consueto legittimo godimento delle parti comuni ex art. 1102 c.c. da parte del singolo condomino-comunista, mediante interventi costituenti mere modifiche della cosa comune.

Va dunque respinta anche la doglianza nunciatoria a carattere petitorio, mancando  per lo meno allo stato  la paventata lesione del diritto di proprietà o comunque del diritto all`uso paritetico della cosa comune in questione.

Merita approfondimento il delicatissimo tema del diritto alla salute, per la cui tutela agisce in via d`urgenza il ricorrente, lamentando il pregiudizio che gli deriverebbe dal noto fenomeno dell`esposizione, in termini sensibili, alle radiofrequenze.

Giova subito osservare che, diversamente da quanto opina l`attenta difesa di XXXXX, per superare l`istanza del ricorrente non pare sufficiente allegare il semplice rispetto dei parametri minimi legali di sicurezza da parte della società titolare dell`impianto base. Non è difatti inutile ricordare come il quadro costituzionale assicuri al diritto alla salute carattere assoluto, primario ed incomprimibile e come la legge non possa “. . . in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana” (art. 32, comma II, Cost.). Vale ancora rimarcare che il D.M. 10 settembre 1998 n. 381, laddove fissa i tetti delle radiofrequenze compatibili con la salute umana, ben lungi dall`imporre su scala di massa dette esposizioni, si limita a fissare i tetti massimi, precisando peraltro (né potrebbe essere diversamente, pena la lesione del diritto primario in questione) che detti tetti sono suscettibili di ulteriore riduzione in ossequio alla ben nota “definizione di obiettivi di qualità” (v. art. 2 D.M. cit.), tesa a ridurre al minimo possibile l`esposizione della popolazione alle R.F. anche quando il tetto previsto sia stato concretamente rispettato. Inoltre il D.M.  ben lontano dal conclamare l`innocuità dell`esposizione prolungata alle R.F.  recepisce il c.d. “principio di cautela” raccomandato dall`Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dallo stesso Consiglio dell`Unione Europea (raccomandazione n. 1999/519/CE, in data 12 luglio 1999), vale a dire l`adozione di misure di tutela della popolazione anche in assenza di dati definitivi sulla nocività dei campi elettromagnetici.

A detta raccomandazione, del resto, si è dimostrato particolarmente sensibile anche il Parlamento italiano che, di recente, con la mozione 13 luglio 1999 della Camera dei Deputati, ha impegnato specificamente il governo a perseguire dette finalità, questa volta tuttavia con riferimento ai C.E.M. generati dalle più “aggressive” emissioni a bassa frequenza.

Il panorama normativo che si è tratteggiato induce così ad escludere l`ammissibilità di ogni forma di assoggettamento iure imperii della popolazione ad esposizione generalizzata a radiazioni non ionizzanti ad alta frequenza, come pure ad affermare la riespansione, avverso queste, del diritto “naturale” alla salute, la cui accezione deve necessariamente comprendere anche il diritto ad essere posti al riparo da rischi ancora non ponderati (o non adeguatamente monitorati) dalla comunità scientifica.

Stando così le cose, occorre allora individuare quale sia la portata obiettiva della disciplina del c.d. Decreto Ronchi e, in particolare, quale valore debba attribuirsi alla attività del gestore che abbia rispettato le prescrizioni minime di sicurezza e gli obiettivi di qualità fissati dalla legge.

Per rispondere a queste domande occorre fare riferimento alla ratio della disciplina esposta: essa  ad un meditato esame  pare implicitamente finalizzata a “tipizzare”, sia pure in forma variabile nel tempo (in relazione alle future acquisizioni scientifiche), la liceità (e dunque l`incolpevolezza) dell`attività telefonica del “buon” gestore, in funzione dell`interesse generale all`ordinato sviluppo del settore.

Questo assetto realizza dunque, sempre in via tendenziale, un duplice effetto: 1) far venir meno  in linea di principio  la responsabilità risarcitoria del “buon gestore” nei confronti della generalità dei cittadini per il generico rischio da “fondo elettromagnetico”, trattandosi di soggetto che, in quanto concessionario pubblico, risulta comunque tenuto ad erogare il servizio di telefonia mobile; 2) sul piano interindividuale, assicurare piena validità giuridica alle attività negoziali (e, di riflesso, economiche) dei gestori di telefonia mobile, intrattenute con i soggetti che acconsentono alla allocazione di impianti-base sulle loro proprietà, a superamento dei probabili riflessi ostativi di cui al divieto generale dell`art. 5 c.c. (“atti di disposizione del proprio corpo: gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica o quando siano altrimenti contrari alla legge, all`ordine pubblico o al buon costume”).

Sullo sfondo si profila, allora, la tendenziale sostituzione della responsabilità indennitaria dello Stato per eventuali danni da atto lecito, a quella  di diritto comune (artt. 2043 e 2050 c.c.)  dei privati gestori, secondo uno schema ben noto all`esperienza giuridica.

Ciò peraltro, vale ripeterlo, non significa affatto che dal mero rispetto di dette norme “minime” discenda l`indiscriminata autorizzazione ad irradiare coattivamente quegli specifici soggetti dissenzienti che, per la concreta collocazione spaziale dei luoghi ove essi svolgono la loro personalità (case, uffici, scuole, asili, ospedali, centri di accoglienza pubblica, etc., la cui rilevanza trova eco nell`art. 2 Cost.), vengano a trovarsi nelle immediate vicinanze delle sorgenti da cui si dipartono radiazioni non ionizzanti per così dire “legittime”. Una lettura di tal fatta si porrebbe al di fuori del quadro costituzionale che, come si è detto, riconosce il primato assoluto e l`incomprimibilità del diritto individuale e collettivo alla salute del soggetto dissenziente.

La normativa considerata opera dunque, per quanto qui interessa, nel senso, certo non marginale, di accordare tutela preventiva avverso eventuali azioni di nullità del contratto fondate sulla asserita lesività dell`integrità fisiopsichica del soggetto contraente.

In definitiva, l`interpretazione proposta appare  a giudizio di questo tribunale  la più coerente con il dato costituzionale dell`art. 32 Cost. it. e, come tale, preferibile in quanto attenta ai noti ammonimenti ermeneutici rivolti dal Giudice delle leggi ai giudici remittenti.

Chi può, allora, validamente dissentire (e dunque resistere) a tutela del proprio diritto alla salute?

La domanda non è di poco momento e già si è fatto implicito cenno alla possibile soluzione.

Un utile criterio informatore può trarsi, in questa sede sommaria, proprio dall`art. 100 c.p.c. che riconosce, in generale, il diritto di azione ai soli soggetti aventi un interesse concreto ed attuale alla tutela processuale del bene della vita protetto dalla legge. Da ciò discende, secondo questo giudice, l`impossibilità di accordare un indiscriminato diritto di azione nei termini dell`actio populi.

Ragioni di razionalità e prudenza vogliono invece che tale diritto soggettivo competa ai soli soggetti “sensibili”, ciò è a dire a coloro che  per la contiguità spazio/temporale con le sorgenti generatrici di R.F.  evidenzino una seria ed obiettiva preoccupazione in ordine alle incerte conseguenze del fenomeno sulla loro salute. Diversamente opinando si verrebbe ad incidere, oltre il ragionevole, sullo sviluppo delle moderne comunicazioni, in aperto conflitto con l`indirizzo del legislatore che, per parte sua, ha invece ribadito come il settore in esame sia oggetto di preminente interesse generale dello Stato.

Nel caso in esame è indubbio (né sul punto vi sono state contestazioni) l`interesse obiettivo dell`istante a coltivare l`odierna domanda, avendo egli un appartamento posto al piano superiore del palazzo in cui verrà ubicata la stazione base, a poche decine di metri dall`impianto di cui si discute.

Non è chi non veda come a detta circostanza materiale possa astrattamente e probabilisticamente associarsi (salvi i contrari contributi tecnici che potranno derivare da idonea ctu) il ragionevole aumento del rischo da esposizione (qui prolungata e ravvicinata) rispetto a quello derivante dal c.d. fondo magnetico generale, in danno specifico danno del ricorrente e/o dei suoi familiari o inquilini (quanto alla responsabilità del locatore per il danno alla salute dell`inquilino derivato dalla insalubrità della abitazione locata, anche quando l`agente dannoso sia noto al conduttore al momento della stipula del contratto v. Cass. 3 febbraio 1999 n. 915).

Giungiamo, quindi, al nocciolo duro del problema: come è noto, gli effetti generati dall`esposizione alle radiazioni elettromagnetiche sono assai controversi, non essendoci esaustive ricerche epidemiologiche in ordine agli esiti, nel medio-lungo termine, derivanti dall`induzione di correnti elettriche all`interno del corpo, nei vari organi e tessuti delle persone esposte.

Quel che è certo, allo stato degli studi medico-scientifici, è che non si può escludere con sicurezza la dannosità del fenomeno in esame. Scrive E. TAIOLI (Rischi associati all`esposizione a radiazioni elettromagnetiche, in Ambiente & Sicurezza, Il Sole 24 ore, Pirola, 17 agosto 1999) che “. . . per quanto riguarda i campi elettromagnetici ad alta frequenza, il processo di conoscenza degli effetti biologici e cancerogeni è ben lontano dall`essere completato. L`evidenza sperimentale indica la presenza di riarrangiamenti del materiale genetico in ratti esposti a microonde e di rotture cromosomiche nelle cellule cerebrali dei topi esposti a dosi ritenute sicure dalla Irpa (International Radiation Protection Agency). . . Pertanto l`evidenza sperimentale sembra indicare un possibile effetto cancerogeno dei campi elettromagnetici ad alta frequenza”, pur precisando l`autrice che “. . . gli studi epidemiologici sono pochi ed i loro risultati non sono univoci”. Resta comunque il fatto che, secondo l`autorevole studiosa (ma in questo senso si legga anche R. GIGANTE, L`inquinamento da elettrosmog: cause ed effetti, riv. cit., 4 marzo 2000, p. 95 e ss.; C. ZANETTI-B. SAIA, Rischio da radiofrequenze e microonde, p. 405 e ss.; S. ANGIULLI, Elettrosmog: a che punto siamo, in Ambiente n. 11/99, 1055 e ss.; A. GALLO, Radiazioni elettromagnetiche e rischi per la salute, in Lavoro sicuro, febbraio 1993, pp. 57 e ss., e molti altri), “a tutt`oggi non esistono dati scientifici sufficienti per affermare che i valori soglia riportati dalla legge sono privi di rischi nel caso di esposizioni croniche di ampie fasce della popolazione che vivono in aree urbane ad elevato inquinamento. Sappiamo da ricerche di laboratorio che questi valori sono largamente al di sotto del valore in grado di indurre riscaldamento dei tessuti ma questo è solo uno dei tanti elementi da considerare nella valutazione di un agente ambientale, essendo necessari studi epidemiologici a lungo termine e, parallelamente, studi di biologia molecolare per definire l`interruzione tra campi ad alta frequenza, funzione cellulare e cancerogenicità. Solo questi elementi permetteranno di dire con certezza quali sono i rischi legati all`esposizione cronica residenziale ai campi ad alta frequenza, e quali sono i limiti di sicurezza per tale esposizione”.

Il legislatore europeo e nazionale ha indubbiamente seguito la raccomandazione della comunità scientifica: di qui, allora, l`inevitabile adozione del “principio di cautela” che, ad esempio, anche di recente, ha condotto la Regione Lombardia a varare la legge n. 157/99 con la quale, proprio sulla scorta di tale premessa, sono state introdotte precise regole volte al controllo delle esposizioni c.d. “occupazionali” e “residenziali”, quanto alla intensità di campo in relazione alla durata e alla distanza della sorgente di campi ad alta frequenza dalle aree residenziali (nello stesso senso si vedano anche l`art. 1 della L.R. Veneto 9 luglio 1993 n. 29, ove si parla espressamente di “possibili rischi sanitari”, nonché la deliberazione della Giunta Regionale Veneta del 29 dicembre 1998 n. 5268, attuativa dell`art. 5 del Decreto Ronchi).

Orbene, questa lunga premessa consente una più attenta valutazione delle conseguenze giuridiche della non esclusa idoneità del fenomeno ad incidere negativamente sulla salute dei cittadini, esposti al rischio di cancerogenesi.

Premesso che a questo tribunale non competono valutazioni di carattere squisitamente medico-legale, si stima tuttavia prematuro il disegno di collocare l`attività svolta dal gestore di telefonia mobile nell`ambito delle attività pericolose disciplinate dall`art. 2050 c.c. (giova peraltro rilevare come tali siano non solo quelle così definite dalla legge ma anche quelle aventi intrinseca e concreta connotazione in tal senso, secondo la valutazione del giudice del merito: cfr. Cass. 29 maggio 1998 n. 5341), in quanto non è ancora possibile esprimere sicuri giudizi preventivi in ordine alla sussistenza di una elevata ed intrinseca potenzialità offensiva delle R.F., anche in forza della loro interazione con altri agenti patogeni ambientali (per la necessità di detto presupposto cfr. Cass. 29 maggio 1998 n. 5341).

Peraltro, in armonia con il quadro costituzionale e civilistico qui sommariamente tratteggiato, è fortemente sentita l`esigenza di assicurare, già in questa sede cautelare e di urgenza, l`indefettibile tutela “anticipata” avverso il rischio di danno paventato dal ricorrente e non escluso dalla comunità scientifica, in ossequio al principio del neminem laedere di cui all`art. 2043 c.c.

Del resto, cosa altro significa il più volte menzionato “principio di cautela” espresso dall`O.M.S. se non che  come ha osservato acuta dottrina  “. . . nel campo della salute pubblica e dell`ambiente, non si deve attendere, per intervenire, che la scienza dimostri in modo definitivo gli effetti nocivi dell`esposizione ad agenti morbosi o sospetti”. E che questa sia l`unica via percorribile lo attestano purtroppo i tristemente noti fenomeni relativi all`uso dell`amianto, del benzene, alla distribuzione di carni infette (leggi “mucca pazza”), dove prevalse la logica attendista del rinchiudere le stalle dopo che i buoi erano fuggiti.

E’ allora appena il caso di osservare come il danno oggi paventato (di presumibile natura neoplastica), ove venisse infaustamente a prodursi nelle more del giudizio si rivelerebbe fatale o comunque difficilmente rimediabile, alla luce degli scarsi successi della medicina nella lotta contro il cancro.

La tutela costituzionale del diritto alla salute (che nel bilanciamento degli interessi contrapposti, deve ritenersi preminente sul diritto economico che muove i resistenti) porta quindi, come logico corollario, a riconoscere il conseguente diritto del dissenziente di non essere minacciato nel medio-lungo periodo dal (non infondato) rischio di gravissime lesioni, a causa di una maggiore esposizione a campi elettromagnetici rispetto alla generalità dei cittadini.

In questo solco si è mossa, del resto, la più attenta giurisprudenza che, lungi da frettolosi giudizi restrittivi in ordine alla portata precettiva dell`art. 32 Cost., ha puntualmente richiamato i principi ora esposti proprio in relazione alla installazione di una stazione radio base sul terrazzo di uno stabile condominiale (TAR Lazio, ord. 18 dicembre 1996, n. 3806, in Arch. loc. 1997, 875, confermato da Cons. Stato 25 marzo 1997).

Occorre allora disporre idonea ctu sull`impianto per cui è causa, che non si limiti a descriverne gli aspetti tecnologici ma indichi pure se l`irradiamento investa l`appartamento del ricorrente e con quale intensità, onde accertare il concreto interesse dell`istante nel senso di cui sopra. 

 

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