Corte di Cassazione campo elettromagnetico generato dal passaggio dell'energia elettrica

 

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CORTE DI CASSAZIONE

sez. I, 28 novembre 1999, n. 5626 (c.c. 14 ottobre 1999).

 

Il fenomeno noto come inquinamento elettromagnetico è astrattamente riconducibile alla previsione dell'art. 674 codice penale. (Nella specie, la Suprema Corte ha escluso la configurabilità del reato in oggetto, atteso che i valori del campo elettromagnetico, generato da quattro conduttori di corrente elettrica ad alta tensione situati nei pressi di una casa colonica, non avevano superato i limiti indicati dalla normativa vigente in materia). (Mass. redaz.) (c.p., art. 674).

 

Il Trib. Libertà di Venezia sentita la relazione fatta dal Consigliere XXXXXX;

sentite le conclusioni del P.G. Dr. XXXXXX, che ha chiesto il rigetto dell'impugnazione:

sentiti i difensori degli indagati, avv.ti XXXXXX, XXXXXX e XXXXXX in sostituzione dell'avv. XXXXXX, la Corte osserva:

Con ordinanza del 20 aprile 1999 il Tribunale di Venezia ha rigettato l'appello proposto dal pubblico ministero, ai sensi dell'art. 322 bis, c.p.p., avverso il provvedimento con il quale, il precedente 25 marzo, il giudice per le indagini preliminari della locale pretura aveva respinto la richiesta di sequestro preventivo di quattro conduttori di corrente elettrica ad alta tensione collocati in località XXXXXX, nei pressi di una casa colonica, avanzata dallo stesso pubblico ministero, in quanto cose pertinenti ai reati di cui agli artt. 674 e 675, c.p., per i quali si procede nei confronti di XXXXXX, XXXXXX, XXXXXX e XXXXXX, i primi tre, dirigenti locali dell'XXXXXX, il quarto, amministratore della società “XXXXXXettrica”, comproprietaria di uno degli elettrodotti.

Il giudice di merito, premesso che, secondo lo stesso consulente tecnico del rappresentante della pubblica accusa, i valori del campo elettromagnetico generato dal passaggio dell'energia elettrica nella zona considerata rientrano nei limiti indicati - a scopo, peraltro, meramente precauzionale per la mancanza allo stato attuale delle ricerche di dati scientificamente certi sulla pericolosità per la salute umana delle onde elettromagnetiche - dalla normativa vigente in materia (D.P.C.M. 23 aprile 1992 e 28 settembre 1995), perviene alla conclusione che, proprio in considerazione degli esiti dell'indagine specifica e degli studi condotti in tutto il mondo sul tema, nella specie non è consentito parlare di “cose” sicuramente idonee a offendere o anche semplicemente a molestare le persone.

Ché, anzi, aggiunge il tribunale, neppure di cose, almeno nel senso inteso dal legislatore nell'art. 674, c.p., deve parlarsi a proposito dei campi elettromagnetici, che non sono elementi materiali di immediata percezione e suscettibili di essere gettati o versati, donde l'impossibilità, senza violare il principio costituzionale di legalità, di estendere agli stessi la portata della norma incriminatrici.

Ricorre per cassazione il procuratore della Repubblica, il quale dopo avere sottolineato la gravità del problema dell'inquinamento elettromagnetico, specialmente per quei soggetti che sono costretti dalle circostanze a subire, più o meno consapevolmente, le emissioni di elettrodotti e impianti di radiodiffusione, ribatte che il rischio di danni alla salute (insorgenza di neoplasie soprattutto nell'età infantile) è ormai ammesso dagli studiosi incaricati, a livello nazionale e internazionale, di indagare sia nel campo delle alte frequenze, che di quelle basse o bassissime.

Censura, poi, la pretermissione da parte del tribunale di qualsivoglia considerazione sulla pure prospettata configurabilità del reato previsto dall'art. 675, c.p., indugiandosi, quindi, nell'analisi semantica del testo di tale disposizione e di quello dell'articolo che lo precede e concludendo che anche le onde elettromagnetiche, in quanto manifestazioni di un tipo di energia dotata di “una sua individualità fisica”, “suscettibile di misurazione e di utilizzazione per gli scopi più diversi” devono qualificarsi cose idonee a ledere o, comunque, a “molestare” la gente, rientrando nel concetto di molestie tutte quelle situazioni “determinanti disagio e turbamento della tranquillità”.

I difensori delle parti private in vista dell'udienza odierna hanno depositato diffuse memorie con le quali controbattono le argomentazioni del ricorrente.

Il ricorso non merita accoglimento.

Già appare inaccettabile che il pubblico ministero, pur nel lodevole intento di avviare una ricerca della soluzione giuridicamente valida di un problema avvertito come grave e impellente, si rivolga al giudice e gli chieda l'applicazione di una misura cautelare reale di non lieve momento senza neppure sapere esattamente per quale reato intende procedere.

Anche nella fase magmatica delle indagini preliminari la prospettazione d'ipotesi alternative, comportando l'incertezza dell'accusa, si risolve, infatti, sempre in una menomazione del diritto di difesa, quanto meno nel senso di renderne più gravoso l'esercizio, segnatamente quando, come nel caso in esame, le fattispecie legali adombrate si escludono a vicenda.

Quello previsto dall'art. 675, c.p. è, invero, un tipico reato colposo, che consiste nel collocamento o nella sospensione di cose pericolose per l'integrità fisica o morale delle persone “senza le debite cautele”. Ed è ovvio che colui il quale costruisce un elettrodotto aereo, vale a dire un impianto implicante l'applicazione di raffinate tecnologie, sa benissimo che il passaggio della corrente elettrica ad altissima tensione nei conduttori provoca la formazione di onde elettromagnetiche nel campo di forza preesistente o autogenerato con la conseguenza che l'elemento psichico dell'eventuale reato configurabile, ancorché possa in concreto anche atteggiarsi come colpa dovuta all'erronea valutazione di circostanze di contorno, si configura normalmente come dolo.

Dalle considerazioni fin qui svolte emerge, anzitutto, che nessun serio rimprovero può muoversi al tribunale per avere pretermesso di prendere in considerazione l'ipotesi formulata, in via subordinata, dall'accusa non foss'altro che per la sua palese inconsistenza.

Emerge, altresì, che il quesito cui occorre dare una risposta è solo quello relativo all'applicabilità al fatto per cui si procede della norma incriminatrice dettata dall'art. 674 c.p. senza violare il principio costituzionale di legalità (artt. 25 comma 2, Cost.; 1 c.p.).

In merito va rilevato che sotto il profilo oggettivo gli elementi costitutivi della contravvenzione in parola sono rappresentati, per quanto qui interessa, dal “getto” nei luoghi specificamente indicati dalla norma di “cose” “atte a offendere ... o molestare persone”. Le varianti a tale schema previste dal testo legislativo per la loro evidente estraneità al caso in esame possono essere tranquillamente tralasciate.

A questo punto, però, il discorso potrebbe esaurirsi sul nascere per effetto della constatazione fatta dal tribunale e non agevolmente superabile che, allo stato attuale delle ricerche, non risulta in alcun modo dimostrata l'attitudine delle onde elettromagnetiche a bassa frequenza, quali sono quelle emesse dagli elettrodotti, a recare danni apprezzabili, ancorché transitori e limitati alla sfera psichica agli individui direttamente coinvolti per ragioni di lavoro o altro.

È quasi superfluo rilevare che il problema, assai dibattuto nella comunità scientifica internazionale, appare tuttora aperto ad ogni soluzione. Il sospetto da tempo affacciato dagli studiosi del ramo che le onde anzidette, superando facilmente ostacoli e barriere non espressamente apprestati e penetrando all'interno degli edifici e degli organismi viventi possano cagionare l'insorgenza di gravi malattie ha, comunque, indotto molti enti statuali e locali ad adottare, sia pure per scopi meramente cautelativi, specifiche normative.

In Italia, il testo fondamentale è attualmente costituito dal D.P.C.M. 23 aprile 1992, che indica i limiti massimi di esposizione ai campi elettrici e magnetici generati dalla frequenza industriale nominale (50Hz) negli ambienti abitativi e nell'ambiente esterno, differenziandoli tra loro a seconda che l'esposizione medesima sia permanente oppure limitata a poche ore il giorno.

Il provvedimento, che in applicazione del principio accolto dall'art. 4 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del sistema sanitario nazionale, è anche volto a garantire condizioni uniformi su tutto il territorio, ha istituito, inoltre, una commissione tecnico-scientifica con il compito di aggiornare periodicamente la disciplina della materia e di approfondire, sulla scorta dei contributi offerti da altri enti, italiani e stranieri, le tematiche relative a problemi igienico-sanitari.

E proprio in base al parere espresso da tale commissione il successivo D.P.C.M. 28 settembre 1995, recante norme tecniche procedimentali per l'attuazione di quello precedente, relativamente agli elettrodotti ha confermato i valori già stabiliti e non risultanti in contrasto con le regole elaborate dal Comitato europeo per la normazione tecnica, alla stregua dei suggerimenti dati dall'Organizzazione mondiale della sanità.

Quest'ultima riguardo al rapporto tra induzioni elettrica o magnetica e salute umana ha consigliato, sempre in via cautelare e in attesa dei risultati degli esperimenti in corso, di evitare il superamento di valori, rispettivamente, di 5 kv/m e di 0,1 m T, per esposizioni permanenti, e di 10 kv/m e 1 m T, per esposizioni temporanee.

Ora, secondo lo stesso consulente del pubblico ministero, nella località XXXXXX questi limiti non sono stati varcati, sicché anche ammettendo che le onde elettromagnetiche generate dagli elettrodotti ad alta tensione siano, teoricamente, idonee a ledere o infastidire le persone, nella specie, il concorso di tale condizione è escluso, in radice, dai risultati dell'indagine condotta dagli esperti. Non è possibile ignorare, tuttavia, che, come s'è accennato, si tratta di un argomento tuttora in discussione e di estrema delicatezza per le diverse implicazioni di carattere sanitario, sociale ed economico che presenta. L'esigenza che esso sia affrontato e discusso a tutti i livelli ha indotto anche la Corte costituzionale a chiarire, in una recente decisione (sent. n. 382 del 7 agosto 1999), che proprio in considerazione dei rilevanti interessi ambientali tirati in ballo dal fenomeno dell'inquinamento elettromagnetico la soluzione del problema non può essere incondizionatamente riservata alla competenza statale.

E, in effetti, la regione Veneto, nel cui territorio ricadono gli impianti di cui è stato chiesto il sequestro, con la legge 30 giugno 1993, n. 27 poi richiamata da quella successiva (29 luglio 1997) sottoposta al giudizio della consulta, ha imposto dei limiti più rigorosi di quelli indicati nel provvedimento governativo.

Tuttavia, a prescindere dalla legittimità di tale limiti, considerati di per sé, in quanto, cioé, non strettamente connessi ad ambiti, come, ad esempio, quello urbanistico, di competenza regionale, va notato che la stessa regione Veneto, da ultimo con l'art. 69 comma 1 della L. 30 gennaio 1997, n. 6, ne ha fissato la decorrenza al 1º gennaio 2000.

Va, infine, ricordato che è attualmente in gestazione una legge-quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, approvata per ora solo dalla Camera dei deputati, la quale detterà le linee direttive per la determinazione dei valori aggiornati d'inquinamento e dei possibili rimedi nonché, presumibilmente, i criteri generali per la prevenzione e repressione di eventuali condotte difformi.

Ma, poiché, allo stato attuale delle cose, i confini della difformità sono ancora incerti, in vista di una loro non lontana definizione, sembra opportuno al collegio stabilire se a prescindere dal dato in concreto mancante dell'idoneità lesiva sia, comunque, giuridicamente corretto sussumere la fattispecie in esame nella previsione dell'art. 674 c.p.

È inutile dire che quando il legislatore del 1930 ha dettato la norma non ha pensato, né poteva pensare alla diffusione delle onde elettromagnetiche.

Ma il problema dell'inquadramento ontologico dell'energia se l'è posto e risolvendo una lunga diatriba sorta sotto il vigore del codice Zanardelli ha formulato il secondo comma dell'art. 624 con il quale equipara l'energia medesima, quella elettrica e le altre aventi un valore economico, alle “cose mobili”.

L'inserimento, del resto ovvio sul piano concettuale, in tale categoria di elementi non materiali ma, almeno strumentalmente percepibili, misurabili e apprezzabili, contrariamente a quanto sostenuto anche dai difensori degli interessati, giova ad una corretta interpretazione della lettera dell'art. 674, c.p.

Com'è noto, accantonata la teoria soggettiva dell'interpretazione, rivelatasi assolutamente inadeguata a corrispondere alla continua evoluzione della realtà sociale, “l'intenzione del legislatore” di cui parla l'art. 12 delle disposizioni sulla legge, va oggi, intesa come volontà della legge obiettivamente considerata, indipendentemente, cioè, dal pensiero di chi l'ha materialmente redatta. Ma poiché un altro articolo delle disposizioni medesime, il 14, statuisce che le leggi penali “non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati” (art. 25 Cost.; art. 1 c.p.), è compito dell'interprete di accertare se la “volontà”, che pretende di attribuire alla norma, sia interna o esterna alla stessa, nel senso che possa ricavarli dalla norma stessa, pur dando al testo un significato più ampio di quello che apparentemente risulta da essa (interpretazione estensiva), ovvero debba essere mutuata da una norma diversa o anche dai principi generali dell'ordinamento giuridico (interpretazione analogica).

Ebbene, proprio l'apertura culturale mostrata dal codice Rocco nel dilatare la nozione di cosa rilevante per il diritto penale autorizza ad attribuire all'art. 674 una dimensione più ampia di quella originariamente conferitagli e conforme ad una visione della legge in armonia con il marcato dinamismo dello Stato moderno.

Non sembra arbitraria, dunque, la conclusione che tra le “cose” di cui parla la norma incriminatrice debbono farsi rientrare anche i campi elettromagnetici, per la loro stessa essenza considerati da A. Einstein altrettanto reali “della sedia su cui ci si accomoda”, o, più esattamente, i treni di onde, che si disperdono in tutte le direzioni a somiglianza di quelle generate nell'acqua dal lancio di un sasso, quale effetto delle variazioni dei campi medesimi prodotte dalle oscillazioni delle cariche elettriche.

Ancora più agevole è ricondurre il fenomeno della propagazione delle onde elettromagnetiche nell'ambito dell'amplissimo significato che ha nella nostra lingua il verbo “gettare”.

Esso, infatti, non sta solo a indicare l'azione di chi lancia (più popolarmente, brutta) qualcosa nello spazio o verso un punto determinato, ma è anche sinonimo di “montar fuori, mettere” e, per estensione, come già in Dante Alighieri, di “produrre, far nascere”.

Pertanto, sia che si voglia imputare agli elettrodotti direttamente la formazione dei campi elettromagnetici, sia che si faccia risalire a loro soltanto la variazione del campo generale preesistente con la formazione di sequele di onde, è evidente che, in entrambi i casi, essi rappresentano la fonte del turbamento, il quale, tuttavia, per le ragioni sopra esposte, non può ritenersi tale da mettere in pericolo la salute di un numero indeterminato di persone e non assume, quindi, rilevanza penale.

Il principio di diritto che, in conclusione, può enunciarsi è che il fenomeno noto come inquinamento elettromagnetico è astrattamente riconducibile alla previsione dell'art. 674, c.p., il quale, tuttavia, risulta in concreto inapplicabile per la mancanza di uno degli elementi essenziali della fattispecie criminosa.

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